When I Hit You: raccontare per salvarsi

When I Hit You: Or, A Portrait of the Writer as a Young Wife è la storia di una sopravvissuta a una relazione di abusi raccontata dalla sopravvissuta stessa. È una precisazione doverosa perché indica proprio il punto di forza del romanzo: il racconto da parte della vittima è il suo modo di riprendersi un ruolo attivo in una storia che l’ha vista protagonista e che tutti gli altri si sentono in dovere di raccontare al posto suo, che sia la madre col suo sensazionalismo o il marito con le sue bugie.

Lui è un prepotente che si nasconde dietro gli ideali del comunismo. Nei quattro mesi in cui sono insieme, gli abusi arrivano un po’ alla volta, prima come atti di fiducia (la costringe a cancellare Facebook e a darle la password della sua mail), poi facendole male in ogni modo possibile (la offende, la umilia, la picchia, la stupra), tutto pur di ridurla a un nulla. È interessante notare come per cancellarla non si limiti a isolarla (vivono in un Paese di cui lei non conosce la lingua, è disoccupata e non la aiuta a trovare lavoro, le fa usare pochissimo internet e il telefono, manipola i suoceri convincendoli di essere lui la vittima), ma lotti per toglierle quello che la rende lei: la sua voce, il suo punto di vista, la sua capacità di raccontare storie, che oltre a definirla come persona è anche la sua professione, quindi detto terra terra la sua fonte di indipendenza economica.

when i hit you 2Lei si vede come un’attrice, una regista, un personaggio, e usa le sue capacità di narratrice per salvarsi sia in senso figurato (come quando finge di scrivere ai suoi ex) sia per fuggire prima che sia troppo tardi. Come a tutte le vittime di stupro e di abusi, anche a lei chiedono di giustificarsi, addirittura di parlare dei lati positivi del marito, come a dire che deve guadagnarsi lo status di vittima e deve redimere una figura mostruosa per essere convincente. Non importa, comunque: questa è la sua storia, questo è il suo “corpo scritto”, un corpo che lei ha creato e ha deciso di mostrare ai lettori.

When I Hit You è la storia di una donna stufa di essere raccontata dagli altri, una donna che si racconta e si salva da sola perché sa quant’è importante il modo in cui è rappresentata, una donna che non ha paura di usare la sua voce per comunicare con fermezza la sua versione dei fatti. È un pugno allo stomaco ma è anche una lama affilata per come tratta sia il peggio del maschilismo sia il potere delle storie.
Non ho letto gli altri candidati alla shortlist, ma potrei scommetterci che vincerà il Women’s Prize quest’anno.

I decide that I will not allow myself to be portrayed as the hot-blooded woman who ran away from one man into the wide open arms of another. I will not allow myself to become the good wife, the good mother, the good-for-nothing woman that marriage aims to reduce me to. I will not allow my story to become a morality tale – about loose women, about lonely writers, about melancholic poets, about creative, unstable artists, not even about a war against head lice. I will give all of you an ending to this story to which you cannot object. I will hold out until I hand-deliver the finishing thread that will earn your teary-eyed, hard-won approval – a return to my parental home, to that state of innocence, to a system of returning.

Meena Kandasamy, When I Hit You: Or, A Portrait of the Writer as a Young Wife. Atlantic Books (2017), 256 p.

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