Borne: un’irresistibile messa in discussione

borneIn una città post-apocalittica in cui un orso gigante di nome Mord terrorizza i sopravvissuti e una donna nota come “the Magician” si pone come forza opposta, Rachel trova una creatura a metà tra un anemone di mare e un calamaro a cui dà il nome di Borne. È un muta-forma che impara presto a parlare e a cambiare aspetto, dimensioni e odore a proprio piacimento.

Il romanzo si focalizza sulle dinamiche tra Rachel, Borne e Wick, amante di Rachel ed ex impiegato nella compagnia che è responsabile della creazione di Mord, lasciando purtroppo il resto dell’ambientazione e delle idee originali che la caratterizzano sullo sfondo.
Considerato che il rapporto madre-figlio che si instaura tra Rachel e Borne è il punto di forza della storia, questa scelta non è per forza un male, ma molti dei dettagli in secondo piano sembrano quasi riciclati dalla Southern Reach Trilogy (i vuoti di memoria, gli esperimenti, la forte componente naturale quasi aliena).

borne it

“I am Borne,” said the thing in front of me. “I talking talking talking.”
Those words came out in a kind of mellifluous burble that reminded me of how much he had amused me those past weeks. But where did those words come from? Borne still had no face, no real mouth.
“Is this a dream?”
“Dream?” Borne said.
“How did you escape them?”
“Them?” Borne said.
“Yes, them—the children who attacked me.”
“Children,” Borne said. “Attacked me.”

Alla fine della storia non so esattamente cosa VanderMeer volesse comunicarmi. Borne-libro è un po’ come Borne-creatura: indefinito e dalle motivazioni poco chiare, ma comunque irresistibile.

Jeff VanderMeer, Borne. MCD (2017), 336 p.
Borne (trad. Vincenzo Latronico). Einaudi (2018), 352 p.

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